L’infiammazione da cibo causata dal glutine viene confermata da sempre più frequenti e documentate ricerche scientifiche. Mentre alcune multinazionali stanno comprensibilmente cercando di ridimensionare questo fenomeno, per evitare ripercussioni sulle proprie vendite, gli studi effettuati stimano che la “sensibilità al glutine non celiaca” nella popolazione è in costante aumento.
I primi studi clinici risalenti al 2010 stimavano che un ipotetico 6-10% delle persone sane soffrisse di questo disturbo, successivamente questa percentuale è aumentata arrivando quasi al 20% . Infine a novembre 2012 il British Medical Journal o BMJ (una delle più autorevoli riviste di medicina al mondo), in un importante articolo, sostiene che la “sensibilità al glutine non celiaca” sia un problema che tocca un terzo della popolazione apparentemente sana.
Lo studio dei ricercatori del reparto di Gastroenterologia e di Neurologia dell’Hallamshire Hospital di Sheffield (UK) è stato pubblicato nella sezione “Practice” del BMJ, dove vengono proposti gli strumenti pratico-clinici che rappresentano la prima strada verso una linea guida di comportamento medico universale.
Sostanzialmente nell’articolo viene specificato che le persone che soffrono di disturbi intestinali ed extraintestinali riconducibili all’assunzione di glutine e che non sono né celiaci né allergici al frumento (IgE), devono iniziare un regime alimentare controllato sui derivati glutinici, con una diagnosi di “gluten sensitivity non celiaca” e devono essere avvisati che si tratta di una entità clinica di recente scoperta di cui va ancora perfezionata la completa comprensione.
Una delle fonti cui il British Medical Journal fa riferimento è uno studio condotto in Italia e pubblicato il mese di dicembre 2012 sull’American Journal of Gastroenterology, in cui si evidenziano in costante crescita i valori di anticorpi antigliadina sia di tipo IgA sia di tipo IgG nelle popolazioni che lamentano il “colon irritabile” e soprattutto identificano una risposta alla introduzione del glutine (test in doppio cieco randomizzato, crossover) in circa un terzo dei casi valutati (29,5%).
Considerato che alcuni studiosi stimano che il 50% della popolazione soffra di colon irritabile, capiamo bene che siamo di fronte ad un imponente numero di casi che obbligano a riflettere non solo dal punto di vista commerciale ma anche dal punto di vista metodologico e medico. Infatti controllando l’assunzione di glutine è stato dimostrato che la condizione fisica di tali persone è migliorata decisamente. Gli studiosi, forti dei risultati che stanno ottenendo, vanno sempre più in profondità cercando di dimostrare che la reattività vera non è al glutine ma ai fruttani che sono presenti nel frumento, anche se dal punto di vista pratico non cambia nulla in quanto l’unica soluzione è controllare l’assunzione di frumento e cereali contenenti glutine.
Purtroppo le multinazionali si difendono così: “Ma sì, il disturbo non è ancora stato ben definito, non teniamone conto…”; fortunatamente le persone stanno acquisendo una sempre maggiore consapevolezza sul benessere e su come raggiungerlo anche con piccole modifiche al proprio stile di vita indipendentemente dal marketing.
A differenza della celiachia dalla “gluten sensitivity non celiaca” si guarisce in modo semplice variando spesso gli alimenti e continuando a mangiare glutine con il principio dello svezzamento infantile e rieducando alla tolleranza glutinica l’organismo intero.